Una famiglia polacca e i fratelli ebrei. L’interezza del bene

Nessuno si salva da solo. E se ce lo fossimo dimenticati, se le guerre e le crisi finanziarie non bastassero a ricordarcelo, ha provveduto la pandemia a rendercelo ben presente. Ma è già dal primo scoccare della vita, naturalmente possibile solo dentro una relazione, che l’essere legati indissolubilmente gli uni agli altri ci segna in modo indelebile: il nostro destino non si realizza mai nella perfetta solitudine, ma dentro una trama di rapporti, tanto più se in gioco c’è una meta importante, ambiziosa, decisiva.

Non si può sottrarre a questa regola la stessa santità, proposta dalla Chiesa come forma compiuta della vita di fede. Sebbene sugli altari vengano quasi sempre proposte figure individuali, il loro cammino non è mai stato da eroi isolati: anzi, è la dimensione della carità verso il prossimo e la capacità di darsi agli altri senza calcoli a rivelare infallibilmente la “stoffa” del santo, la sua prossimità a Dio, l’autenticità di una figura tanto vicina all’ideale evangelico da poter essere proposta al popolo cristiano come meritevole di essere conosciuta e imitata. La santità di una vita non è mai un oggetto da collezione, ma emerge come un disegno complesso dall’intreccio di un’infinità di fili che hanno intessuto i giorni e gli anni. Ce lo insegnano proprio i santi e i beati che la Chiesa sta proclamando negli ultimi decenni, come sotto la spinta sempre più consapevole del vento conciliare. Ed è spesso la famiglia a emergere come l’ambiente dove si è realizzata la tessitura di un capolavoro della quotidianità cristiana, tanto lontano dai riflettori del mondo quanto vicino al nostro cuore.

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