A dicembre la Chiesa ha offerto un grande dono ai fedeli e al mondo intero, promulgando il decreto che riconosce il martirio dei coniugi polacchi Józef (Giuseppe) e Wiktoria (Vittoria) Ulma e dei loro sette figli uccisi a Markowa il 24 marzo 1944 – assieme agli otto ebrei cui offrivano rifugio nella propria casa – da una squadra di gendarmi nazisti. Ciò significa che presto verrà beatificata, per la prima volta nella storia, un’intera famiglia (già nota ai lettori della Nuova Bussola), oggetto di devozione fin dai primi giorni dopo la morte. E, sempre per la prima volta, sarà beatificato un bambino ancora nel grembo materno, visto che Wiktoria, quel 24 marzo, era incinta, nella fase finale della sua gravidanza. A questo piccolo mai nato, il cui nome è noto solo al Cielo, è stata dunque riconosciuta la palma del martirio, come ai fratellini Stanisława (nata nel 1936), Barbara (1937), Władysław (1938), Franciszek (1940), Antoni (1941), Maria (1942).
Ma come si è arrivati a comprovare il martirio in odium fidei? La Bussola lo ha chiesto al postulare della causa, don Witold Burda.
Don Burda, che cosa sappiamo della fede della famiglia Ulma?
Intanto, sia Józef che Wiktoria provenivano da due famiglie profondamente cristiane. I genitori di Józef Ulma erano contadini. Uno dei fratelli di Józef, Władysław, testimonia: «La nostra famiglia era semplice, con genitori credenti e una madre che negli ultimi anni della sua vita partecipava ogni giorno alla Santa Messa. Eravamo quattro fratelli. I nostri genitori pregavano in casa, e si cantava insieme una funzione dedicata alla Madonna (…). In questo clima spirituale fu educato anche Józef. Egli, come tutti noi, si accostava ai Sacramenti nei tempi stabiliti».
Abbiamo informazioni simili su Wiktoria e la sua famiglia d’origine, nella quale era abitudine che chiunque andasse da loro ricevesse un aiuto. Per le feste si preparava un pacco con del cibo e altro materiale per le persone bisognose.
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